Introduzione
Nella società contemporanea, i termini “solitudine” e “isolamento” vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma rappresentano esperienze psicologiche profondamente diverse. Questa distinzione è fondamentale non solo per la comprensione teorica, ma anche per il benessere psicologico di ciascuno di noi. In questa guida, esploreremo le differenze tra questi due stati, analizzando il loro impatto sulla salute mentale e offrendo strategie concrete per trasformare esperienze potenzialmente negative in opportunità di crescita personale.
Parte 1: Definire la Solitudine e l’Isolamento
La Solitudine: Un’Esperienza Soggettiva
La solitudine rappresenta uno stato profondamente soggettivo, caratterizzato dalla percezione di una discrepanza tra le relazioni sociali che desideriamo e quelle che effettivamente sperimentiamo nella nostra vita quotidiana. Si tratta principalmente di una risposta emotiva che non dipende necessariamente dalla quantità di contatti sociali che abbiamo. È perfettamente possibile sentirsi soli anche quando siamo circondati da molte persone, perché ciò che conta veramente è la qualità percepita delle nostre connessioni, non il loro numero.
La solitudine ha spesso una natura transitoria, manifestandosi in periodi specifici della nostra vita legati a particolari circostanze: un trasferimento in una nuova città, la fine di una relazione significativa, o semplicemente una fase di cambiamento personale. Un aspetto interessante della solitudine è che può anche essere ricercata volontariamente come prezioso momento di riflessione e introspezione. Molti di noi, infatti, cercano attivamente momenti di solitudine per riconnettersi con se stessi in un mondo sempre più frenetico e rumoroso.
L’Isolamento: Una Condizione Oggettiva
L’isolamento, d’altra parte, rappresenta una condizione oggettiva di separazione fisica o sociale dagli altri. A differenza della solitudine, l’isolamento può essere quantificato in termini concreti: numero di interazioni sociali, frequenza dei contatti, ampiezza della rete sociale. Spesso deriva da circostanze esterne che possono essere geografiche (vivere in zone remote), sociali (appartenere a gruppi marginali), sanitarie (malattie che limitano la mobilità) o economiche (mancanza di risorse per partecipare ad attività sociali).
L’isolamento può essere breve o prolungato nel tempo e comporta barriere concrete alla socializzazione. Tuttavia, un aspetto fondamentale da comprendere è che l’isolamento non implica necessariamente sofferenza emotiva. Alcune persone possono vivere in condizioni di relativo isolamento sociale pur mantenendo un buon equilibrio psicologico, mentre altre possono sentirsi profondamente sole pur avendo numerosi contatti sociali.
Parte 2: L’Impatto sulla Salute Mentale
Gli Effetti della Solitudine
La ricerca scientifica ha ampiamente documentato come la solitudine, soprattutto quando diventa cronica, possa avere conseguenze significative sulla nostra salute mentale. Secondo una meta-analisi pubblicata su PLOS Medicine nel 2010 da Holt-Lunstad et al., la mancanza di connessioni sociali aumenta il rischio di mortalità del 29%, rendendola paragonabile ad altri fattori di rischio ben stabiliti come il fumo e l’obesità. Uno studio longitudinale di Cacioppo e Cacioppo, pubblicato nel 2014 su Annals of Behavioral Medicine, ha dimostrato che quando persistono nel tempo, i sentimenti di solitudine aumentano sensibilmente il rischio di sviluppare sintomi depressivi, con un aumento del 24% dei sintomi depressivi in un periodo di follow-up di 5 anni. Si crea spesso un circolo vizioso in cui la solitudine alimenta l’ansia sociale, che a sua volta porta a evitare ulteriormente le interazioni, intensificando così la solitudine stessa.
Le persone che sperimentano solitudine cronica riferiscono frequentemente disturbi del sonno, con difficoltà ad addormentarsi e a mantenere un sonno ristoratore. Uno studio pubblicato nel 2011 su Sleep da Kurina et al. ha rilevato che livelli più elevati di solitudine erano associati a una maggiore frammentazione del sonno, con un aumento del 5% dei risvegli notturni per ogni punto di aumento sulla scala della solitudine. Con il passare del tempo, la persistente sensazione di non essere sufficientemente connessi agli altri può erodere progressivamente l’autostima, portando a una diminuita fiducia nelle proprie capacità sociali.
Un effetto particolarmente insidioso della solitudine è la tendenza a sviluppare bias cognitivi negativi: le persone sole tendono a interpretare le interazioni sociali in modo più pessimistico, notando maggiormente i segnali di rifiuto e minimizzando quelli di accettazione. Uno studio di Cacioppo et al. pubblicato nel 2009 sul Journal of Personality and Social Psychology ha dimostrato che gli individui soli mostrano una maggiore attivazione dell’amigdala (la regione cerebrale coinvolta nella risposta alla minaccia) quando esposti a immagini sociali negative rispetto a quelli non soli. Questo filtro distorto rende ancora più difficile stabilire nuove connessioni significative. A livello fisiologico, la solitudine prolungata può portare a uno stato di stress cronico, con l’attivazione persistente dei sistemi biologici di risposta allo stress. Uno studio del 2015 pubblicato su PNAS da Cole et al. ha rilevato che la solitudine è associata a una specifica “firma genomica” caratterizzata da un aumento dell’espressione di geni pro-infiammatori e una diminuzione dell’espressione di geni coinvolti nella risposta antivirale, che a lungo termine può compromettere il funzionamento del sistema immunitario.
Gli Effetti dell’Isolamento
Quando passiamo all’isolamento sociale prolungato, troviamo conseguenze che possono essere ancora più profonde. La mancanza di stimolazione sociale può accelerare il declino cognitivo, in quanto le interazioni con gli altri rappresentano una forma importante di esercizio mentale. Uno studio longitudinale pubblicato su The Journals of Gerontology nel 2019 da Evans et al. ha seguito oltre 11.000 adulti per 12 anni, scoprendo che l’isolamento sociale era associato a un declino del 20% più rapido nelle funzioni cognitive rispetto a individui socialmente integrati. Recenti studi di neuroimaging hanno documentato alterazioni nella struttura e nella funzionalità cerebrale in persone soggette a isolamento prolungato. Una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience nel 2020 da Bzdok e Dunbar ha rilevato riduzioni significative del volume della materia grigia nelle regioni prefrontali, temporali e parietali del cervello in individui socialmente isolati, soprattutto nelle aree coinvolte nella cognizione sociale.
L’isolamento sociale cronico influisce negativamente sul sistema immunitario, rendendo le persone più vulnerabili alle malattie. Uno studio pubblicato su PNAS nel 2013 da Cole et al. ha dimostrato che l’isolamento sociale è associato a una maggiore espressione di geni pro-infiammatori e una ridotta espressione di geni antivirali, con un aumento del 67% nei livelli di proteina C-reattiva (un marker infiammatorio) rispetto a persone socialmente integrate. Non è raro che il disagio psicologico causato dall’isolamento si manifesti anche attraverso disturbi psicosomatici, come cefalee, problemi gastrointestinali o dolori muscolari persistenti senza una chiara causa organica.
Un aspetto particolarmente preoccupante è l’aumento del rischio di comportamenti autodistruttivi. Secondo uno studio pubblicato su World Psychiatry nel 2017 da Leigh-Hunt et al., l’isolamento sociale è associato a un aumento del 29% del rischio di malattie cardiovascolari e a un incremento del 32% del rischio di ictus. Per quanto riguarda la salute mentale, una meta-analisi pubblicata sul Journal of Affective Disorders nel 2018 da Stickley e Koyanagi ha rilevato che l’isolamento sociale è associato a un rischio di ideazione suicidaria 2,7 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Man mano che l’isolamento si protrae nel tempo, può diventare sempre più difficile ristabilire connessioni sociali, creando un effetto di inerzia sociale che rende il reinserimento progressivamente più complesso.
Il Paradosso dell’Era Digitale
Viviamo in un’epoca caratterizzata da un paradosso significativo: nell’era dei social media e della connettività costante, la solitudine sembra aumentare anziché diminuire. Un sondaggio nazionale condotto da Cigna nel 2020 su oltre 10.000 adulti americani ha rilevato che il 61% degli intervistati si sentiva solo, con un aumento di 7 punti percentuali rispetto ai risultati del 2018. Ancora più preoccupante, tra i giovani adulti della Generazione Z (18-22 anni), il tasso di solitudine saliva al 79%, nonostante questa generazione sia la più “connessa” digitalmente. Siamo tecnicamente più connessi che mai, possiamo comunicare istantaneamente con persone dall’altra parte del mondo, eppure molte di queste interazioni mancano della profondità e dell’autenticità necessarie per soddisfare il nostro bisogno innato di connessione significativa.
I contatti virtuali possono talvolta creare un’illusione di socialità che maschera un isolamento reale. Uno studio pubblicato su American Journal of Preventive Medicine nel 2017 da Primack et al. ha rilevato che i giovani adulti con un elevato utilizzo dei social media (più di 2 ore al giorno) avevano il doppio delle probabilità di percepire isolamento sociale rispetto a coloro che utilizzavano i social media meno di 30 minuti al giorno. Passiamo ore a scorrere feed di notizie, mettere “like” e commentare brevemente, ma queste micro-interazioni raramente soddisfano il nostro bisogno di essere veramente visti e compresi. Parallelamente, l’esposizione costante alle vite apparentemente perfette degli altri sui social media può intensificare il senso di inadeguatezza e la cosiddetta FOMO (Fear Of Missing Out), l’ansia di essere esclusi da esperienze significative che sembrano alla portata di tutti tranne che nostra.
La “vetrina sociale” dei social media, dove tendiamo a mostrare solo gli aspetti più positivi e invidiabili della nostra vita, crea un terreno fertile per confronti sociali sfavorevoli. Una ricerca pubblicata sul Journal of Social and Clinical Psychology nel 2018 da Hunt et al. ha dimostrato che limitare l’uso dei social media a 30 minuti al giorno portava a una significativa riduzione della solitudine e della depressione in un periodo di tre settimane. Questo studio evidenzia come confrontarsi continuamente con rappresentazioni idealizzate della vita altrui può accentuare il senso di solitudine, facendoci sentire come se fossimo gli unici a sperimentare difficoltà e sfide quotidiane.
Parte 3: Quando la Solitudine Diventa Positiva
La Solitudine Creativa
Sarebbe tuttavia riduttivo considerare la solitudine esclusivamente in termini negativi. Esiste infatti una “solitudine positiva” o “solitudine creativa” che può rappresentare una risorsa preziosa per il nostro sviluppo personale. Questa forma di solitudine consapevole e volontaria offre uno spazio privilegiato per l’introspezione, permettendoci di conoscere meglio noi stessi, i nostri valori e le nostre autentiche aspirazioni.
La storia della creatività umana è costellata di esempi di come la solitudine possa fungere da catalizzatore per l’espressione artistica e intellettuale. Scrittori, artisti, musicisti e pensatori hanno spesso cercato la solitudine come condizione necessaria per dare vita alle loro opere più significative. Lo spazio di silenzio che la solitudine crea diventa il terreno fertile in cui possono germogliare nuove idee e prospettive originali.
Per le persone con tendenze introverse, i momenti di solitudine rappresentano un’importante occasione di ricarica energetica. Dopo periodi di intensa socializzazione, la solitudine offre loro la possibilità di ripristinare le energie psichiche e di elaborare le esperienze vissute. La solitudine può inoltre diventare un laboratorio di autonomia, dove sviluppiamo indipendenza e autosufficienza sia pratica che emotiva.
Non è un caso che molte tradizioni spirituali e filosofiche, dalla meditazione buddista al ritiro contemplativo cristiano, valorizzino la solitudine come via privilegiata per la crescita spirituale e la saggezza. Il silenzio esteriore diventa così occasione per ascoltare la propria voce interiore, spesso sommersa dal rumore del quotidiano.
Strategie per Trasformare la Solitudine
Esistono diverse strategie concrete che possiamo adottare per trasformare periodi di solitudine in opportunità di crescita personale. La pratica della mindfulness, ad esempio, ci invita a osservare i nostri pensieri ed emozioni senza giudizio, sviluppando una maggiore consapevolezza di ciò che accade nel nostro paesaggio interiore. Durante i momenti di solitudine, questa pratica può aiutarci a distinguere tra il sentimento naturale di mancanza di connessione e le interpretazioni catastrofiche che talvolta vi sovrapponiamo.
Tenere un diario riflessivo rappresenta un altro strumento prezioso, permettendoci di documentare e dare senso ai nostri pensieri ed emozioni. Scrivere regolarmente durante periodi di solitudine può renderci più consapevoli dei nostri schemi di pensiero e aiutarci a elaborare esperienze difficili, trasformandole in opportunità di apprendimento.
I momenti di solitudine possono diventare occasioni privilegiate per esplorare la nostra creatività, dedicandoci ad attività artistiche o creative che normalmente rimandiamo per mancanza di tempo. Che si tratti di pittura, scrittura, musica o qualsiasi altra forma di espressione creativa, queste attività possono diventare potenti canali per dare voce a emozioni che altrimenti rimarrebbero inespresse.
Stabilire una routine di self-care durante i periodi di solitudine ci aiuta a prenderci cura di noi stessi in modo strutturato. Piccoli rituali quotidiani – dalla preparazione di un pasto nutriente alla lettura di un libro significativo, da una passeggiata nella natura a un bagno rilassante – diventano atti di gentilezza verso noi stessi che rafforzano la nostra resilienza emotiva.
Infine, possiamo utilizzare i periodi di solitudine per imparare qualcosa di nuovo, dedicandoci all’acquisizione di nuove competenze o all’approfondimento di interessi personali. Questo processo non solo arricchisce il nostro bagaglio di conoscenze, ma rafforza anche la nostra autoefficacia e la fiducia nelle nostre capacità di crescita autonoma.
Parte 4: Prevenire e Affrontare l’Isolamento Dannoso
Riconoscere i Segnali di Allarme
Mentre la solitudine può avere aspetti positivi, l’isolamento prolungato e involontario rappresenta quasi sempre un fattore di rischio per il benessere psicologico. È quindi importante saper riconoscere i segnali che indicano quando l’isolamento sta diventando problematico. Un primo segnale significativo è il ritiro progressivo dalle attività sociali: quando iniziamo a cancellare sistematicamente impegni, evitare occasioni di incontro e ridurre progressivamente i nostri contatti sociali, potrebbe essere il segno di un isolamento in corso.
La perdita di interesse verso attività che prima ci davano piacere rappresenta un altro campanello d’allarme da non sottovalutare. Quando hobby, passioni e interessi che prima animavano la nostra vita perdono progressivamente il loro appeal, potremmo trovarci in una spirale di isolamento che si autoalimenta.
Cambiamenti significativi nelle abitudini di sonno e alimentazione – dormire troppo o troppo poco, mangiare in eccesso o perdere l’appetito – possono essere manifestazioni di un disagio psicologico legato all’isolamento. Altrettanto preoccupante è la presenza di pensieri negativi ricorrenti, caratterizzati da ruminazione costante e interpretazioni catastrofiche degli eventi, che possono indicare che l’isolamento sta compromettendo la nostra salute mentale.
Infine, un aumento nell’uso di sostanze come alcol o droghe, o un incremento di comportamenti potenzialmente compulsivi come il gioco d’azzardo o l’uso eccessivo di internet, può segnalare il tentativo di usare questi comportamenti come meccanismo di coping per gestire il disagio emotivo causato dall’isolamento.
Strategie di Intervento
Affrontare l’isolamento dannoso richiede un approccio graduale e strutturato. È spesso utile iniziare con piccoli passi: anziché proporsi di rivoluzionare completamente la propria vita sociale, può essere più efficace reintrodurre gradualmente le interazioni sociali, iniziando da contesti a basso impatto emotivo e progressivamente ampliando il proprio raggio d’azione.
Strutturare la socialità attraverso appuntamenti regolari può aiutare a superare l’inerzia dell’isolamento. Che si tratti di un caffè settimanale con un amico, di una telefonata programmata con un familiare o della partecipazione a un corso con cadenza fissa, questi rituali sociali creano punti di riferimento che facilitano il mantenimento delle connessioni.
In un’epoca di crescente digitalizzazione, è importante imparare a sfruttare la tecnologia in modo costruttivo per combattere l’isolamento. Piattaforme di videochiamata, gruppi online basati su interessi comuni, o anche semplici messaggi regolari possono mantenere vive connessioni significative, soprattutto quando barriere geografiche o di mobilità rendono difficili gli incontri di persona.
Partecipare a gruppi basati su interessi comuni rappresenta una strategia particolarmente efficace per facilitare connessioni autentiche. Che si tratti di un club del libro, di un gruppo di escursionismo, di un coro o di un’associazione di volontariato, questi contesti offrono naturali punti di contatto e conversazione, rendendo le interazioni sociali più fluide e meno ansiogene.
Infine, è fondamentale riconoscere quando l’isolamento e il disagio ad esso associato richiedono un supporto professionale. Non dovremmo esitare a rivolgerci a uno psicologo quando l’isolamento persiste nonostante i nostri sforzi per superarlo, o quando è accompagnato da sintomi significativi di depressione o ansia. Un professionista della salute mentale può offrire strumenti specifici e un sostegno personalizzato nel percorso di riconnessione sociale.
L’Importanza del Supporto Sociale
La ricerca in ambito psicologico ha ampiamente dimostrato che un solido sistema di supporto sociale costituisce un fattore di protezione fondamentale per la nostra salute mentale. Uno studio longitudinale pubblicato su JAMA Psychiatry nel 2016 da Santini et al. ha seguito oltre 6.000 adulti per due anni, scoprendo che livelli più elevati di supporto sociale percepito erano associati a una riduzione del 55% del rischio di sviluppare depressione e a una diminuzione del 47% del rischio di sviluppare ansia. Le relazioni positive funzionano come un “effetto tampone” contro lo stress, attenuando l’impatto degli eventi difficili o traumatici che possiamo incontrare nel corso della vita. Uno studio pubblicato su Social Science & Medicine nel 2015 da Cohen et al. ha dimostrato che i partecipanti con un forte sostegno sociale avevano una probabilità del 50% inferiore di ammalarsi quando esposti sperimentalmente a virus del raffreddore rispetto a quelli con scarso sostegno sociale. Sapere di poter contare su altre persone nei momenti di difficoltà riduce la percezione di minaccia e aumenta la nostra fiducia nella capacità di affrontare le sfide.
La condivisione delle emozioni con persone di cui ci fidiamo facilita la loro elaborazione e regolazione. Uno studio pubblicato su Emotion nel 2019 da Rimé et al. ha dimostrato che il semplice atto di condividere un’emozione negativa con una persona di fiducia riduce l’intensità dell’emozione del 47% entro le 24 ore successive. Raccontare le nostre esperienze, essere ascoltati e compresi ci aiuta a dare senso a ciò che viviamo e a integrare anche le esperienze più difficili nella nostra narrativa personale. Questo processo di “co-regolazione emotiva” rappresenta una delle funzioni più importanti delle relazioni significative.
Il senso di appartenenza che deriva dall’essere parte di un gruppo, sia esso la famiglia, un cerchio di amici o una comunità più ampia, soddisfa un bisogno umano fondamentale. Uno studio pubblicato su Psychological Science nel 2014 da Walton e Cohen ha mostrato che anche brevi interventi per aumentare il senso di appartenenza sociale in studenti universitari provenienti da minoranze hanno portato a miglioramenti significativi nel benessere psicologico e nei risultati accademici, con effetti che persistevano anche tre anni dopo. Sentirsi parte di qualcosa di più grande di noi rafforza la nostra identità sociale e contribuisce significativamente al benessere psicologico. Questo senso di appartenenza fornisce inoltre un contesto in cui la nostra esistenza acquista significato e scopo.
Un aspetto particolarmente interessante del supporto sociale è la reciprocità: aiutare gli altri aumenta il nostro senso di competenza e utilità. Una meta-analisi pubblicata su Psychological Bulletin nel 2018 da Curry et al. ha esaminato 201 studi indipendenti con oltre 198.000 partecipanti, concludendo che gli atti di generosità e aiuto verso gli altri erano associati a un aumento del 27% del benessere soggettivo. Non siamo solo beneficiari passivi di supporto, ma possiamo anche offrirlo attivamente, creando un circolo virtuoso di scambio e connessione che arricchisce tutte le parti coinvolte.
Conclusione: Verso un Equilibrio
La distinzione tra solitudine e isolamento ci offre una lente preziosa attraverso cui comprendere meglio la nostra esperienza sociale e intervenire in modo mirato quando necessario. L’obiettivo di una vita psicologicamente equilibrata non è eliminare completamente i momenti di solitudine, che possono essere preziosi per la nostra crescita personale, ma piuttosto trovare un sano equilibrio tra connessione e autonomia.
Possiamo imparare a coltivare una solitudine costruttiva e volontaria, ritagliandoci consapevolmente spazi di riflessione e creatività nel flusso delle nostre giornate. Parallelamente, dobbiamo rimanere vigili per prevenire l’isolamento distruttivo e involontario, riconoscendone i segnali precoci e attivando strategie efficaci per ricostruire il tessuto delle nostre connessioni sociali.
Sviluppare relazioni significative che rispettino anche il nostro bisogno di autonomia rappresenta forse la sfida più importante: non si tratta di moltiplicare i contatti superficiali, ma di coltivare legami autentici in cui possiamo sentirci veramente visti, compresi e accettati per ciò che siamo. A livello più ampio, diventa importante contribuire alla costruzione di comunità inclusive che riducano le barriere all’integrazione sociale, creando spazi in cui ciascuno possa trovare il proprio posto e offrire il proprio contributo unico.
Riconoscere la differenza tra solitudine e isolamento, comprenderne le rispettive implicazioni per la salute mentale e sviluppare strategie personalizzate per navigare questo territorio complesso rappresenta il primo passo per trasformare potenziali fattori di rischio in opportunità di crescita personale e collettiva. In questo viaggio di consapevolezza e cambiamento, possiamo scoprire che tanto la capacità di stare bene con noi stessi quanto quella di connetterci autenticamente con gli altri sono dimensioni complementari e ugualmente essenziali del nostro benessere psicologico.
Nota: Questa guida offre informazioni generali e non sostituisce il parere di un professionista della salute mentale. Se tu o qualcuno che conosci sta sperimentando solitudine o isolamento cronici associati a sofferenza significativa, è consigliabile consultare uno psicologo o uno psichiatra.
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